Verso la santità
Ci sentiamo scossi, e il cuore batte più forte, quando ascoltiamo con attenzione il grido di san Paolo: Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (1 Ts 4, 3). Oggi, ancora una volta, lo ripropongo a me stesso, lo ricordo a voi e a tutti gli uomini: questa è la volontà di Dio, che siamo santi.
Per dare la pace alle anime, ma una pace vera, per trasformare la terra, per cercare il Signore Dio nostro nel mondo e attraverso le cose del mondo, è indispensabile la santità personale. Nelle mie conversazioni con persone di tanti paesi e dei più diversi ambienti sociali, spesso mi sento domandare: «Che cosa può dire a noi che siamo sposati? E a noi che lavoriamo nei campi? E alle vedove? E ai giovani?».
Rispondo sistematicamente che ho "un'unica zuppiera" da offrire, e ribadisco che Gesù ha predicato a tutti la buona novella, senza distinzione alcuna. Una sola zuppiera e un solo alimento: Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato, e portare a compimento la sua opera (Gv 4, 34). Tutti sono chiamati alla santità, il Signore chiede amore a ciascuno: giovani e anziani, celibi e sposati, sani e malati, dotti e ignoranti, dovunque lavorino, dovunque si trovino. C'è un solo modo per crescere in intimità e in confidenza con Dio: frequentarlo nell'orazione, parlare con Lui, esprimergli — cuore a cuore — il nostro affetto.
Voi mi invocherete e io vi esaudirò (Ger 29, 12). Lo invochiamo conversando, rivolgendoci a Lui. Per questo dobbiamo mettere in pratica l'esortazione dell'apostolo: Sine intermissione orate (1 Ts 5, 17); pregate sempre, succeda quel che succeda. Non solo "di cuore", ma con tutto il cuore (SANT'AMBROGIO, Expositio in Psalmum CXVIII, 19, 12 [PL 15, 1471]).
Forse state pensando che la vita non è sempre agevole, che non mancano i dispiaceri, le pene, le tristezze. Vi risponderò, ancora con san Paolo, che né morte né vita, né angeli né principati, né virtù, né presente né futuro, né potestà, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù Signore nostro (Rm 8, 38-39). Niente ci può allontanare dalla carità di Dio, dall'Amore, dal rapporto costante con nostro Padre.
Raccomandare questa continua unione con Dio, non è forse proporre un ideale tanto sublime da risultare irraggiungibile per la maggior parte dei cristiani? Sì, la meta è davvero alta, ma non inaccessibile. Il sentiero che conduce alla santità, è un sentiero di orazione; e l'orazione deve attecchire nell'anima a poco a poco, come il piccolo seme che col tempo diverrà albero frondoso.
Cominciamo con le orazioni vocali, le stesse che molti hanno appreso da bambini: frasi ardenti e semplici, rivolte a Dio e a sua Madre, che è anche nostra Madre. Ancora oggi, al mattino e alla sera, e non una volta ogni tanto, ma abitualmente, rinnovo l'atto di offerta che i miei genitori mi hanno insegnato: Dolce mia Signora e Madre mia, io mi offro interamente a Voi. E in pegno del mio filiale affetto, vi consacro in questo giorno i miei occhi, i miei orecchi, la mia lingua, il mio cuore… Non è forse questo — in qualche misura — un inizio di contemplazione, una dimostrazione evidente di fiducioso abbandono? Che cosa si dicono coloro che si amano, quando si incontrano? Come si comportano? Sacrificano ciò che sono e ciò che posseggono per la persona amata.
Dapprima una giaculatoria, poi un'altra, e un'altra ancora… finché questo fervore appare insufficiente, perché le parole sono povere… e allora subentra l'intimità divina, lo sguardo fisso in Dio, senza soste e senza mai stancarsi. Si vive allora come in cattività, come prigionieri. Mentre svolgiamo con la massima perfezione possibile, pur con i nostri errori e con i nostri limiti, i compiti propri della nostra condizione e del nostro lavoro, l'anima vorrebbe fuggire. Ci si volge a Dio, come il ferro attirato dalla forza della calamita. Si comincia ad amare Gesù in un modo più efficace, con un dolce palpito.
Vi libererò dalla schiavitù, in qualunque luogo siate dispersi (Ger 29, 14). Ci liberiamo dalla schiavitù, per mezzo dell'orazione: siamo e ci sentiamo liberi, sulle ali di un cantico d'anima innamorata, un canto d'amore che ci sprona a desiderare di non separarci da Dio. È un modo nuovo di camminare sulla terra, un modo soprannaturale, divino, meraviglioso.
Ricordando tanti scrittori castigliani del Cinquecento, forse anche noi vorremmo assaporarne l'esperienza: vivo perché non vivo, è Cristo che vive in me (cfr Gal 2, 20).
Si accoglie allora con gioia il dovere di lavorare in questo mondo, e per molti anni, perché Gesù ha pochi amici sulla terra. Non ricusiamo il dovere di vivere, di spenderci — spremuti ben bene — al servizio di Dio e della Chiesa. Così: in libertà, in libertatem gloriae filiorum Dei (Rm 8, 21), qua libertate Christus nos liberavit (Gal 4, 31 [Vulg.]); con la libertà dei figli di Dio, che Cristo ci ha guadagnato morendo sul legno della Croce.
Può darsi che, fin dal principio, si alzino nuvole di polvere, e anche che i nemici della nostra santificazione impieghino una tecnica di terrorismo psicologico — di abuso di potere — così violenta e ben orchestrata, da attirare nella loro assurda direzione perfino chi, per molto tempo, ha mantenuto ben altra condotta, più logica e più retta. E benché la loro voce dia un suono da campana fessa, perché non è fusa in buon metallo ed è ben diversa dal richiamo del pastore, abusano della parola che è uno dei doni più preziosi che l'uomo abbia ricevuto da Dio, dono bellissimo per esprimere alti pensieri d'amore e di amicizia per il Signore e per le sue creature, al punto da far intendere il motivo per cui san Giacomo afferma che la lingua è un mondo d'iniquità (Gc 3, 6). I danni che può produrre sono tanti: menzogne, denigrazioni, diffamazioni, soperchierie, insulti, mormorazioni tendenziose.
Come potremo superare tali inconvenienti? Come riusciremo a rafforzarci nella decisione iniziale, che incomincia a sembrarci molto pesante? Ispirandoci al modello che la santissima Vergine, nostra Madre, ci mostra: è un cammino molto ampio, che necessariamente, però, deve passare per Cristo. Per avvicinarci a Dio dobbiamo intraprendere la via giusta, che è la santissima umanità di Cristo. Per questo, da sempre ho consigliato la lettura di buoni libri che narrino la Passione del Signore. Tali scritti, pieni di sincera devozione, ci fanno pensare al Figlio di Dio, uomo come noi e vero Dio, che ama e che soffre nella sua carne per la redenzione del mondo.
Considerate anche una delle devozioni più radicate fra i cristiani, la recita del santo Rosario. La Chiesa ci esorta alla contemplazione dei misteri affinché si imprima nella nostra mente e nella nostra immaginazione, con il gaudio, il dolore e la gloria della Madonna, l'ammirabile esempio del Signore, nei suoi trent'anni di oscurità e nei suoi tre anni di predicazione, nella sua Passione ignominiosa e nella sua gloriosa Risurrezione.
Seguire Cristo: questo è il segreto. Accompagnarlo così da vicino, da vivere con Lui, come i primi dodici; così da vicino, da poterci identificare con Lui. Non tarderemo ad affermare, se non avremo posto ostacoli alla grazia, che ci siamo rivestiti di Gesù Cristo, nostro Signore (cfr Rm 13, 14). Il Signore si riflette nella nostra condotta, come in uno specchio. Se lo specchio è quale deve essere, accoglierà il volto amabilissimo del nostro Salvatore senza sfigurarlo, senza caricature: e gli altri avranno la possibilità di ammirarlo, di seguirlo.
Nello sforzo di identificarci con Cristo, mi piace distinguere quattro gradini: cercarlo, trovarlo, frequentarlo, amarlo. Forse vi rendete conto di trovarvi solo nella prima tappa. Cercatelo con fame, cercatelo in voi stessi con tutte le vostre forze. Se agite con tale impegno, oso garantirvi che lo avete già trovato, e che avete incominciato a frequentarlo e ad amarlo, ad avere la vostra conversazione nei cieli (cfr Fil 3, 20 [Vulg.]).
Prego il Signore affinché decidiamo di alimentare nella nostra anima l'unica ambizione nobile, l'unica che vale: camminare con Cristo, come sua Madre e il santo Patriarca, con desiderio, con abnegazione, senza trascurare nulla. Parteciperemo alla felicità dell'amicizia divina — in un raccoglimento interiore compatibile con i nostri doveri professionali e civili — e gli renderemo grazie per la delicatezza e la chiarezza con cui ci insegna a compiere la Volontà del Padre nostro che è nei cieli.
Ma non dimenticate che stare con Cristo vuol dire, senza possibilità di dubbio, imbattersi nella sua Croce. Se ci abbandoniamo nelle mani di Dio, è frequente che Egli permetta che assaporiamo il dolore, la solitudine, le contrarietà, le calunnie, la diffamazione, la derisione, dall'interno e dall'esterno: perché vuole configurarci a sua immagine e somiglianza, e permette perfino che ci chiamino pazzi e ci prendano per stolti.
È il momento di amare la mortificazione passiva, che giunge — occulta, o sfrontata e insolente — quando non l'attendiamo. Non manca chi ferisce le pecore con le pietre che si dovrebbero lanciare contro i lupi: e chi segue Cristo sperimenta nella propria carne che coloro che dovrebbero amarlo si comportano con lui in un modo che va dalla sfiducia all'ostilità, dal sospetto all'odio. Lo guardano con diffidenza, come un bugiardo, perché non credono che possa esserci relazione personale con Dio, che possa esserci vita interiore; invece, con l'ateo e con l'indifferente di solito sfacciati e arroganti, si riempiono di amabilità e di comprensione. Il Signore può permettere anche che il suo discepolo si veda attaccato con l'arma delle ingiurie personali, che non fa mai onore a chi la impugna; lo si colpisce facendo uso di luoghi comuni, frutto tendenzioso e delittuoso di una propaganda massiccia e menzognera: perché non è da tutti essere dotati di buon gusto e di misura.
Coloro che sostengono una teologia incerta e una morale rilassata, senza freni, coloro che impiegano a capriccio una dubbia liturgia, con una disciplina da hippies e metodi di governo irresponsabili, non è strano che promuovano invidie, sospetti, false denunce, offese, maltrattamenti, umiliazioni, dicerie e vessazioni di ogni genere, contro chi parla soltanto di Gesù Cristo.
In questo modo Gesù scolpisce le anime di coloro che sono suoi, senza trascurare di dar loro serenità e gioia interiori, perché costoro capiscono molto bene che, con cento menzogne messe insieme, i demoni non sono capaci di fare una sola verità: e incide nella loro vita la convinzione che si sentiranno comodi solo quando decideranno di non esserlo.
Nell'ammirare e nell'amare davvero la santissima umanità del Signore, scopriremo a una a una le sue piaghe. E in questi tempi di purificazione passiva, dolorosi, forti, di lacrime dolci e amare che cerchiamo di nascondere, sentiremo il bisogno di metterci in ciascuna delle sue santissime Ferite: per purificarci, per godere del suo Sangue redentore, per fortificarci. Accorreremo come le colombe che, come dice la Scrittura (cfr Ct 2, 14), si rifugiano nelle fessure della roccia quando giunge la tempesta. Ci nascondiamo in questo rifugio, per trovare l'intimità di Cristo: e ci accorgiamo che il suo parlare è dolce e il suo volto è leggiadro (cfr Ct 2, 14), perché coloro che sanno che la sua voce è soave e gradita, sono quelli che hanno ricevuto la grazia del Vangelo, che fa loro dire: Tu solo hai parole di vita eterna (SAN GREGORIO NISSENO, In Canticum Canticorum homiliae, 5 [PG 44, 879]).
Non dobbiamo pensare che lungo il cammino della contemplazione le passioni siano definitivamente ammutolite. Ci inganneremmo se pensassimo che il desiderio di cercare Cristo, la realtà dell'averlo trovato e di frequentarlo, e la dolcezza del suo Amore ci trasformino in persone impeccabili. Benché lo sappiate per esperienza, lasciate che ve lo ricordi. Il nemico di Dio e dell'uomo, Satana, non si dà per vinto, non si concede riposo. E ci assedia perfino quando l'anima arde infiammata dell'amore di Dio. Il demonio sa che in quel caso la caduta è più difficile, ma che potrà scatenare su quella coscienza — se ottiene che la creatura offenda il Signore, seppure nel poco — la grave tentazione dello scoraggiamento.
Se volete accettare l'esperienza di un povero sacerdote che non ha altra pretesa che di parlare di Dio, vi consiglio, quando la carne vuole recuperare i privilegi perduti, o la superbia — il che è ancora peggio — si ribella e si impunta, di affrettarvi a trovare rifugio nelle divine fenditure che, nel Corpo di Cristo, hanno aperto i chiodi che lo confissero al legno della Croce e la lancia che gli trapassò il petto. Andateci nel modo che più vi commuova: riversate nelle Piaghe del Signore tutto l'amore umano… e tutto l'amore divino. Questo è bramare l'unione, sentirsi fratelli di Cristo, suoi consanguinei, figli della stessa Madre, perché è Lei a condurci a Gesù.
Desiderio di adorazione, ansia di riparazione in soave quiete e nella sofferenza. Diventerà vita della vostra vita l'affermazione di Gesù: Chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me (Mt 10, 38). E il Signore si dimostra sempre più esigente, ci chiede riparazione e penitenza, fino a spingerci a sperimentare il fervido anelito di voler vivere per Iddio, inchiodati sulla Croce insieme a Cristo (cfr Gal 2, 19). Ma questo tesoro lo portiamo in vasi d'argilla, fragili e caduchi, affinché si riconosca che la straordinaria sua forza è di Dio e non viene da noi (2 Cor 4, 7).
In tutto siamo tribolati, senza però essere ridotti agli estremi; angustiati senza essere disperati o privi di risorse; perseguitati ma non abbandonati; abbattuti ma non perduti; sempre portiamo con noi rappresentata nel nostro corpo la morte di Gesù (2 Cor 4, 8-10).
Immaginiamo perfino che il Signore non ci ascolti, che ci stiamo ingannando, che si oda soltanto il monologo della nostra voce. Ci troviamo come senza appoggio sulla terra e abbandonati dal Cielo. Però il nostro orrore al peccato, anche veniale, è vero e concreto. Con l'ostinazione della cananea, ci prostriamo umilmente come lei, che lo adorò implorando: Signore, aiutami (Mt 15, 25). Allora scomparirà la tenebra, vinta dalla luce dell'Amore.
È il momento di gridare: rammentati delle promesse che mi hai fatto, con le quali mi hai dato speranza; è questo il conforto nel mio nulla, che riempie la mia vita di fortezza (cfr Sal 118, 49-50). Il Signore vuole che contiamo su di Lui, in tutto: vediamo chiaramente che senza di Lui nulla possiamo (cfr Gv 15, 5), e che con Lui possiamo tutto (cfr Fil 4, 13). Si rafforza la nostra decisione di camminare sempre alla sua presenza (cfr Sal 118, 168).
Con la chiarezza di Dio nell'intelletto, che pur sembra inattivo, ci appare indubbio che, se il Creatore prende cura di tutti — anche dei suoi nemici —, quanto più si curerà degli amici! Ci convinciamo che non vi è male né contrarietà che non vengano per il bene: così si consolidano ulteriormente nel nostro spirito la gioia e la pace che nessun motivo umano potrà mai strapparci, perché queste 'visitazioni' ci lasciano sempre qualcosa di Suo, qualcosa di divino. Loderemo il Signore Dio nostro che ha compiuto in noi opere mirabili (cfr Gb 5, 9), e comprenderemo di essere stati creati con la capacità di possedere un tesoro infinito (cfr Sap 7, 14).
Avevamo incominciato con invocazioni vocali, semplici, incantevoli, imparate nell'infanzia e che non vorremmo mai abbandonare. L'orazione, iniziata con questa ingenuità da bambini, procede ora come un fiume ampio, calmo e sicuro, perché segue il cammino dell'amicizia con Colui che disse: Io sono la via (Gv 14, 6). Se amiamo Cristo in questo modo, se con divina audacia ci rifugiamo nella ferita aperta dalla lancia nel suo costato, si compirà la promessa del maestro: Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio l'amerà e verremo a lui e faremo dimora dentro di lui (Gv 14, 23).
Il cuore sente il bisogno, allora, di distinguere le Persone divine e di adorarle a una a una. In un certo senso, questa scoperta che l'anima fa nella vita soprannaturale è simile a quella di un infante che apre gli occhi all'esistenza. L'anima si intrattiene amorosamente con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo; e si sottomette agevolmente all'attività del Paraclito vivificante, che ci viene dato senza nostro merito: i doni e le virtù soprannaturali!
Abbiamo corso come il cervo, che anela le fonti delle acque (Sal 41, 2); assetati, con la bocca riarsa, come inariditi. Vogliamo bere a questa sorgente di acqua viva. Senza fare cose strane, nelle nostre giornate ci lasciamo portare da questa corrente generosa e chiara di fresche acque che zampillano nella vita eterna (cfr Gv 4, 14). Le parole vengono meno, la lingua non riesce ad esprimersi; anche l'intelletto si acquieta. Non si discorre, si ammira. E l'anima erompe ancora una volta in un cantico nuovo, perché si sente e si sa ricambiata dallo sguardo amoroso di Dio, in ogni istante della giornata.
Non alludo a situazioni straordinarie. Sono, possono benissimo essere fenomeni ordinari della nostra anima: come una pazzia di amore che, senza spettacolo, senza stravaganze, ci insegna a soffrire e a vivere, perché Dio ci concede la Sapienza. Incamminati sullo stretto sentiero che conduce alla vita (Mt 7, 14), quanta serenità, allora, e quanta pace!
Ascetica? Mistica? Non me ne preoccupo. Qualunque cosa sia, ascetica o mistica, che importa? È grazia di Dio. Se tu cerchi di meditare, il Signore non ti negherà la sua assistenza. Fede e opere di fede: fatti, perché il Signore — l'hai verificato fin dall'inizio, e te l'ho già sottolineato — è sempre più esigente. Questo è già contemplazione, è unione; questa deve essere la vita di molti cristiani, che procedono lungo la propria via spirituale — le vie sono infinite — in mezzo alle occupazioni del mondo, magari senza neppure rendersene conto.
Un'orazione e una condotta che non ci separano dalle nostre attività abituali, che ci conducono a Dio in mezzo agli impegni nobilmente terreni. Elevando a Dio tutto l'agire, la creatura divinizza il mondo. Vi ho parlato tante volte del mito del re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava! Nonostante i nostri personali errori, possiamo trasformare tutto ciò che tocchiamo in oro di meriti soprannaturali.
Il Signore agisce così. Quando quel figlio ritorna, dopo aver dissipato il suo denaro in dissolutezze e, soprattutto, dopo essersi dimenticato di suo padre, il padre dice: Presto, portate la veste più bella e fategliela indossare; ponetegli un anello al dito e calzari ai piedi; prendete il vitello ingrassato, ammazzatelo, e si mangi e si banchetti (Lc 15, 22-23). Il Signore, nostro Padre, quando accorriamo a Lui con pentimento, trae ricchezza dalla nostra indigenza; forza dalla nostra debolezza. Che cosa ci preparerà se non lo abbandoniamo, se lo frequentiamo incessantemente, se gli rivolgiamo parole d'affetto confermato dalle opere, se gli chiediamo tutto, fiduciosi nella sua onnipotenza e nella sua misericordia? Soltanto perché suo figlio — che l'aveva tradito — è ritornato, Egli prepara una festa: che cosa ci concederà, se ci siamo sforzati di restare sempre accanto a Lui?
Non lasciamoci influenzare, quindi, dal ricordo delle offese che possiamo aver ricevuto, delle umiliazioni che abbiamo sofferto — per quanto ingiuste, incivili e aspre possano essere state —, perché non è da figlio di Dio tener preparato un registro con l'elenco dei danni. Non possiamo dimenticare l'esempio di Cristo, e la nostra fede cristiana non si può cambiare come un vestito: può indebolirsi, o rafforzarsi, o perdersi. Grazie a questa vita soprannaturale, la fede si rinvigorisce, e l'anima si spaventa nel considerare la miserabile indigenza umana quando ci separiamo dal divino. E perdona, e ringrazia: mio Dio, se contemplo la mia povera vita, non trovo alcun motivo di vanità, e tanto meno di superbia; trovo soltanto molti motivi per vivere sempre in umiltà e compunzione. So bene che la più alta dignità è servire.
Mi leverò e andrò attorno per la città: per le vie e per le piazze cercherò colui che amo (Ct 3, 2)… E non solo per la città: percorrerò tutto il mondo — attraverserò tutte le nazioni, tutti i popoli, per sentieri e tratturi — per ottenere la pace dell'anima. E la scopro nelle occupazioni quotidiane, che non mi sono di ostacolo; anzi, sono guida e occasione per amare sempre più, per unirmi sempre più al mio Dio.
E quando ci tende l'agguato, violenta, la tentazione dello scoraggiamento, la prova dei contrasti, della lotta, della sofferenza, di una nuova notte nell'anima, il salmista ci pone sulle labbra e nell'intelligenza queste parole: Sono con Lui nel tempo della tribolazione (Sal 90, 15). Che vale, Gesù, la mia croce, di fronte alla tua? Che cosa sono le mie graffiature, di fronte alle tue ferite? Che vale, di fronte al tuo Amore immenso, puro e infinito, il piccolo peso che Tu hai caricato sulle mie spalle? E i vostri cuori, e il mio, si riempiono di santa bramosia, mentre gli confessiamo — con le opere — che moriamo d'Amore (cfr Ct 5, 8).
Nasce una sete di Dio, un intimo desiderio di comprendere le sue lacrime, di vedere il suo sorriso, il suo volto… Penso che il modo migliore di esprimermi sia ripetere ancora, con le parole della Scrittura: Come il cervo anela alle fonti delle acque, così anela l'anima mia a te, o Dio (Sal 41, 2). E l'anima procede in Dio 'deificata': il cristiano diventa allora il viandante assetato che finalmente schiude le labbra sull'acqua della fonte (cfr Sir 26, 12).
In questa donazione, lo zelo apostolico si accende, aumenta di giorno in giorno, contagiando agli altri questo desiderio, perché il bene è diffusivo. È impossibile che la nostra povera natura, così vicina a Dio, non arda della brama di seminare in tutto il mondo la gioia e la pace, di irrigare tutto con le acque redentrici che sgorgano dal costato aperto di Cristo (cfr Gv 19, 34), di cominciare e portare a termine per Amore tutti i doveri.
Prima ho parlato di dolore, di sofferenze, di lacrime. Non mi contraddico se ora affermo che, per un discepolo che cerca amorosamente il Maestro, il sapore delle tristezze, delle pene, delle afflizioni, è molto diverso: spariscono quando accettiamo davvero la Volontà di Dio, quando compiamo volentieri i suoi progetti, come figli fedeli, benché i nervi sembrino sul punto di spezzarsi e il supplizio appaia insopportabile.
Torno a confermare che non alludo a un modo straordinario di vivere cristianamente. Ciascuno di noi mediti su ciò che Dio ha fatto per lui, e come ha corrisposto. Se siamo coraggiosi in questo esame personale, ci renderemo conto di ciò che ancora ci manca. Ieri mi sono commosso sentendo parlare di un catecumeno giapponese che insegna il catechismo a degli amici che ancora non conoscono Cristo. E mi sono sentito in colpa. Abbiamo bisogno di avere più fede: una grande fede! E, con la fede, avremo la contemplazione.
Rimeditate con calma quella divina affermazione, che inquieta l'anima e, nello stesso tempo, le fa gustare la dolcezza del miele: Redemi te, et vocavi te nomine tuo: meus es tu (Is 43, 1); ti ho redento e ti ho chiamato per nome: sei mio. Non rubiamo a Dio ciò che è suo. Un Dio che ci ha amato fino a morire per noi, che ci ha scelti da tutta l'eternità, prima della creazione del mondo, per essere santi al suo cospetto (cfr Ef 1, 4); e continuamente ci offre occasioni di purificazione e di impegno.
Ma se avessimo ancora qualche dubbio, ecco un'altra prova dalle sue labbra: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati ad andare e a portar frutto; e il vostro frutto permanga, il frutto del vostro lavoro di anime contemplative (cfr Gv 15, 16).
Dunque, fede, fede soprannaturale. Quando la fede vacilla, l'uomo tende a immaginarsi un Dio lontano, che quasi non si prende cura dei figli. Pensa la religione come un qualcosa di estrinseco, cui attingere quando non ci sono altre risorse; si aspetta, allora, e non si capisce su che base, manifestazioni spettacolari, avvenimenti insoliti. Quando la fede vibra nell'anima, invece, ci si accorge che i passi del cristiano non si allontanano dalla vita normale e quotidiana di ogni uomo. E che la santità grande, che Dio ci richiede, è racchiusa nelle piccole cose di ogni giorno, qui ed ora.
Mi piace parlare di via, di cammino, perché siamo in viaggio, diretti alla casa del Cielo, alla nostra Patria. Ma sappiate che una via, benché possa presentare alcuni tratti di particolare difficoltà, benché ci faccia guadare un fiume ogni tanto o attraversare un piccolo bosco quasi impenetrabile, più sovente è qualcosa di comune, senza sorprese. Il pericolo è allora l'abitudinarismo, il pensare che nelle cose consuete, di ogni istante, Dio non c'è, perché sono così semplici, tanto 'ordinarie'!
Quei due discepoli di cui narra san Luca erano diretti a Emmaus. Il loro passo era naturale, come quello di tanti altri che percorrevano la medesima strada. E lì, con altrettanta naturalezza, appare loro Gesù, e cammina al loro fianco, intrattenendoli in una conversazione che allevia la fatica. Mi piace immaginare la scena: è sera inoltrata, e soffia una brezza leggera. Intorno, campi di grano già alto e vecchi olivi coi rami inargentati nella mezzaluce.
Gesù lungo la via. Signore, sei sempre tanto grande! Ma mi commuovi quando ti degni di seguirci, di cercarci, in mezzo al nostro andirivieni di ogni giorno. Signore, concedimi la freschezza di spirito, lo sguardo puro, la mente chiara, per poterti riconoscere quando giungi senza alcun segno esterno della tua gloria.
Il percorso si conclude in prossimità del villaggio, e i due discepoli che, senza essersene accorti, sono stati feriti nel più profondo del cuore dalla parola e dall'amore del Dio fatto uomo, si dolgono che Egli se ne vada. Gesù, infatti, li saluta facendo mostra di dover proseguire (Lc 24, 28). Lui, il Signore, non vuole mai imporsi. Vuole che lo chiamiamo liberamente, quando abbiamo intravisto la purezza dell'Amore che Egli ci ha messo nell'anima. Dobbiamo trattenerlo quasi a forza: Resta con noi, perché si fa sera, e il giorno già declina (Lc 24, 29).
Siamo sempre gli stessi: poco audaci, forse per insincerità, o forse per pudore. Ma dentro di noi pensiamo: resta con noi, perché le tenebre ci invadono l'anima, e Tu solo sei la luce. Tu solo puoi calmare l'affanno che ci consuma. Perché fra tutte le cose belle e oneste, sappiamo bene qual è la prima: possedere sempre Dio (SAN GREGORIO NAZIANZENO, Epistolae, 212 [PG 37, 349]).
E Gesù rimane. I nostri occhi si aprono come quelli di Cleofa e del suo compagno, quando Gesù spezza il pane; e benché Egli di nuovo scompaia al nostro sguardo, saremo capaci, come loro, di riprendere il cammino — è già notte — per parlare di Lui agli altri, perché per tanta gioia un cuore solo non basta. Verso Emmaus. Il Signore ha reso dolcissimo questo nome. Ed Emmaus è il mondo intero, perché il Signore ha aperto i cammini divini della terra.
Domando al Signore che ci conceda, finché siamo sulla terra, di non separarci mai dal divino Viandante. Per questo, dobbiamo favorire anche la nostra amicizia con gli Angeli Custodi. Tutti abbiamo bisogno di compagnia: compagnia del Cielo e della terra. Siate devoti agli Angeli Custodi! È molto umana l'amicizia, ma è anche molto divina: come la nostra vita, che è divina e umana. Ricordate la parola del Signore: Non vi chiamo più servi, ma amici (Gv 15, 15). Egli ci insegna ad aver confidenza con gli amici di Dio, che già sono in cielo, e con le creature che ci vivono accanto, anche quelle che sembrano lontane dal Signore, per invogliarle a seguire la buona strada.
Voglio concludere ripetendo le parole di san Paolo ai Colossesi: Non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una piena conoscenza della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale (Col 1, 9). Sapienza che ci viene offerta dall'orazione, dalla contemplazione, dall'effusione del Paraclito nell'anima. Perché possiate comportarvi in maniera degna per piacere a Dio in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la sua gloriosa potenza, per poter essere forti e pazienti in tutto, con longanimità; ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre, e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore (Col 1, 10-13).
Ci protegga la Madonna, Madre di Dio e Madre nostra, affinché ciascuno di noi possa servire la Chiesa nella pienezza della fede, per mezzo dei doni dello Spirito Santo e della vita contemplativa. Ciascuno di noi, compiendo i doveri personali che gli sono propri, nella sua professione o nel suo mestiere, e adempiendo gli obblighi del proprio stato, dia gloria con gioia al Signore.
Amate la Chiesa, servitela con la gioia consapevole di chi ha saputo decidersi a questo servizio per Amore. E se vedessimo qualcuno che cammina senza speranza, come i due uomini di Emmaus, avviciniamoci con fede — non nel nostro nome, ma in nome di Cristo — per assicurare che la promessa di Gesù non può venir meno, che Egli veglia sempre per la sua Sposa: non la abbandonerà mai. Le tenebre passeranno, perché siamo figli della luce (cfr Ef 5, 8) e siamo chiamati a una vita imperitura.
E asciugherà Iddio ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non sarà più, né lutto né grido né dolore saranno più; perché le cose di prima passarono. E disse colui che sedeva sul trono: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». E a me ingiunse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e vere». E disse ancora: «È fatto! Io sono l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine. A chi ha sete, io darò della fonte dell'acqua della vita, gratuitamente. Colui che vince erediterà queste cose, e io sarò Dio per lui, e lui mi sarà figlio» (Ap 21, 4-7).
Documento stampato da https://escriva.org/it/amigos-de-dios/verso-la-santita/ (10/10/2024)